ALFREDO ORMANDO   
RASSEGNA STAMPA   
13 GENNAIO   
ADESIONI   
2006   
2007   
 NEWSLETTER
 e–mail

 
 
 
IL CONVEGNO IL SIT IN ARCIGAY OMOFOBIA RELIGIONI LAICITÀ

DUE ANNI FA L'ESTREMA PROTESTA DI UN SICILIANO DISPERATO
 
Domenica 2 Luglio 2000 – La Stampa
 
Filippo Ceccarelli
Il «mostro» che si bruciò a San Pietro. Il suo dramma diventa un film
 
"DATTE foco !" (datti fuoco!): questo si dice a Roma, con allegro e brutale cinismo, a chi si mostri particolarmente infelice e lamentoso. E Alfredo Ormando, 39 anni, siciliano, studente di lettere desolamente fuori corso, aspirante scrittore senza successo, lo era senz'altro. Così, alle sette e mezzo di mattina di lunedì 13 gennaio 1998, appena arrivato a Roma dopo un lungo viaggio in pullman da Palermo, passò al distributore di via delle Fornaci per acquistare 3 litri e mezzo di benzina; mise la tanica in una borsa nera; attraversò il colonnato del Bernini all'altezza di via del Sant'Uffizio; raggiunse la scalinata della basilica di San Pietro.
 
Per non dare troppo nell'occhio s' inginocchiò. Quindi, rivolto al presepio che ancora era in mezzo alla piazza, si tolse il giaccone, si versò il liquido addosso e – appunto – si diede fuoco. Un rogo umano a piazza San Pietro sarebbe quanto di più cinematografico si possa immaginare: se non fosse accaduto veramente; se quell'incendio non evocasse troppi terribili significati simbolici, cupa ritualità e personalissima desolazione. E' il fuoco, con il suo potere di annullamento, di purificazione e di liberazione, ad aver colpito il regista e produttore indipendente americano Andy Abrahams Wilson. Quel fuoco ha ucciso Alfredo Ormando, ma per questo illumina il suo autentico dramma, e anche il conflitto reale che oppone la fede e la discriminazione della Chiesa nei confronti degli omosessuali. «Chiedo scusa per essere venuto al mondo, per aver appestato l'aria che respirate con il mio venefico respiro, per aver osato pensare e agire da uomo, per non aver accettato una diversità...»: Alfredo Ormando era gay e viveva questa sua condizione con angoscia e tormento.
 
Ultimo di otto figli, veniva da una famiglia di poveri contadini di San Cataldo, provincia di Caltanissetta. Era stato per due anni seminarista in convento. Viveva a Palermo con un uomo di 65 anni, pensionato del Banco di Sicilia, che gli dava vitto, alloggio e soldi per qualche spesuccia. Sognava l'amore e la gloria letteraria. Non poteva non sapere dei roghi di omosessuali allestiti dall' Inquisizione nel Medioevo... Fu la signora Maria, che da 25 anni pulisce i gabinetti di piazza San Pietro, la prima ad avvistare quella torcia umana a forma di croce che correva all'impazzata, nel silenzio, verso il presepio. Alfredo crollò dopo un centinaio di metri. Una guardia dell'Ispettorato vaticano riuscì a buttargli addosso la sua giacca; un altro accorse con un estintore. Da quel mucchio irriconoscibile di carne e di stracci bruciacchiati Maria sentì appena mormorare: «Non sono neanche riuscito ad uccidermi...».
 
Almeno in questo Alfredo si sbagliava. Riuscì a morire dopo dieci giorni di agonia, intubato e sotto morfina, al Centro Grandi Ustionati dell'ospedale Sant'Eugenio, con il 90 per corpo scottato, in pratica solo i piedi erano salvi. Così lo videro la povera madre (che lo amava) e due fratelli, saliti dalla Sicilia, che invece lui detestava, cordialmente ricambiato. Quando stava più di là che di qua, il 20 di gennaio, la vita appesa a un filo, arrivò all'Ansa un altro plico di carte. Anche quest'ultima testimonianza, che Alfredo aveva spedito prima di appiccarsi il fuoco, venne divulgata a spizzichi e bocconi secondo criteri che con il senno di poi possono considerarsi come minimo misteriosi. Era un'ennesima lettera, pazza e disperatissima, in cui manifestava tutto il suo rancore per i fratelli, che aveva pensato di uccidere, «a uno a uno», ma chiedendo scusa «al mondo intero per i miei nefandi crimini contro quella natura tanto cara e dissacrata dalla cristianità.
 
Il mostro se ne va – concludeva – per non recarvi più offesa e per non farvi più vergognare con la sua ignobile presenza. Se la benzina non avrà fatto il suo dovere riducetemi in cenere, crematemi e spargete le mie ceneri per la campagna». Fin dai primissimi momenti, d'altra parte, la questura di Roma si era affrettata a smentire qualsiasi lettera che, nell'intento del suicida, suonasse polemica nei confronti del Vaticano. Allo stesso modo il padre Ciro Benedettini, vicedirettore della Sala Stampa della Santa Sede, si limitò a diffondere la seguente nota: «Nella lettera trovata addosso a Ormando non si afferma in nessun modo che il suo gesto sia determinato dalla sua presunta omosessualità o da protesta contro la Chiesa. Le cause vanno ricercate in non meglio precisati motivi familiari». Così era, anzi non era. Punto e basta. Il fatto che fra tanti possibili palcoscenici il suicida avesse scelto proprio piazza San Pietro, non veniva considerato significativo.
 
Eppure, ha scoperto il cineasta californiano Wilson che Ormando aveva scritto: «Penseranno che sono pazzo perché ho scelto il Vaticano per darmi fuoco. Spero capiranno il messaggio che intendo lasciare: è una forma di protesta contro la Chiesa che demonizza l'omosessualità e al tempo stesso l'intera natura, poiché l'omosessualità è figlia di Madre Natura». Alfredo morì per arresto cardiocircolatorio il 23 gennaio. Su richiesta del movimento gay, che per bocca di Franco Grillini l'aveva tempestivamente proclamato «Jan Palach degli omosessuali», il Comune di Roma pagò il trasporto della salma a Palermo.
 
Qui, con un bel gesto, l'università gli condonò l'esame di latino scritto dandogli la laurea «alla memoria». Ci fu anche una trasmissione alla radio, e un' altra in tv. Nei giorni seguenti, mentre il Papa si recava in Campidoglio, una ventina di attivisti gay esposero alcuni striscioni a piazza Venezia. Uno diceva: «La Chiesa uccide i gay». Lo striscione fu sequestrato e cinque dei manifestanti (tra cui Wladimir Luxuria, in atti identificato come Wladimir Guadagno) furono portati in commissariato, denunciati e poi di recente anche condannati (un mese di carcere e un milione e 500 mila di multa). Il 13 gennaio scorso – e quello del 1999 – c'è stato qualcuno che ha tentato di portare una corona d'alloro e dei fiori sulla scalinata di San Pietro, là dove il rogo e la folle corsa di Alfredo avevano lasciato una lunga e imbarazzante striscia oleosa. Ma c'erano sempre le transenne, e dietro le transenne la Ps.
 
Per quanto insolita, simbolica e come si diceva prima in qualche modo perfino spettacolare, la storia del gay venuto dalla Sicilia per bruciarsi in piazza San Pietro sembrava irrimediabilmente destinata all'oblio. Del Gay Pride, oltre tutto, ancora non si parlava; il Giubileo era lontano, o comunque sembrava non entrarci in quel fattaccio di cronaca nera. Sennonché, a volte, anche le dimenticanze (oltre alle bugie) hanno le gambe corte. O almeno: pure le storie tragiche ed emblematiche rivendicano un loro diritto, e a volte riescono perfino ad esercitarlo. Per cui adesso quella vicenda di cui si era quasi smarrita la memoria è diventata un film: «Il fuoco di Alfredo», o meglio « Alfredo's fire », dato che il lungometraggio è stato girato da un autore americano. Sarà pronto entro la fine dell'anno, che coincide con la fine dell'Anno Santo.
 
Wilson, che ha studi di antropologia culturale alle spalle e ha fatto diversi film (con il suo « Casualty » , per dire, s'è inaugurato l' ultimo festival del cinema gay e lesbico di Torino) conosce molto bene l'Italia. Quasi sempre parte da vicende personali e umane (la storia della nonna ebrea, la coreografa ottantenne che si batte contro l' Aids) che «possano rappresentare e far avvicinare ai problemi universali». Solo la conoscenza della diversità, ha spiegato alla rivista gay Out , può servire a comprenderla, accettarla e valutarla. Diverso Ormando lo era senz'altro. Anche troppo. Il film ne ripercorre l'ardua esistenza attraverso le immagini della sua terra, il monastero di San Cataldo, Palermo splendida e decadente, i mercati all'aperto, i luoghi d'appuntamento dei gay; poi i testimoni, il vecchio amico che conserva gli scritti di Alfredo, il viaggio notturno in autobus, il letto di dolore al Sant'Eugenio, i parenti che arrivano stravolti, la mamma cui hanno detto che era un incidente, e poi Grillini, Luxuria, la loro lotta contro l'intolleranza, il loro trovarsi di fronte a quello che, pure inconsapevolmente e magari sgangheratamente, assomiglia piuttosto da vicino a un sacrificio. Nulla infatti, soffermandosi sul soggetto e sulla buona fede dell' autore, lascia immaginare che si tratti di un'opera anti–religiosa.
 
 E' piuttosto un film, osserva Wilson, sul conflitto fra spirito e carne, fede e istinto, desiderio e realtà. «Accendimi, o Signore – recita il distico iniziale – bruciami con le fiamme del tuo cuore...». Difficile è stabilire se Alfredo sia un santo, un peccatore, un martire, un esibizionista, un matto o un'anima persa. Forse tutte queste cose insieme. Per questo suona tanto più triste ogni tentativo politico e istituzionale di smorzare la potenza di un gesto atroce. «Se Dio non esiste non avrò paura dell'inferno – ha lasciato scritto Ormando –. Ma se davvero esiste sarà molto più buono, più giusto e misericordioso di quanto lo descrive la Chiesa cattolica». Le vie della redenzione essendo infinite per chi crede!
 
visitatore n. 157482  Copyright © 2005 Arcigay – Una realizzazione per ArciGay Roma by www.sorrentinodaniele.com CREDITS